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DALLE ANTICHE RIFORMANZE MUNICIPALI

Già molto prima dell’epoca,che starerem per citare del 25 Aprile 1387, avevano inferocito, come in tutta Italia, così in Terni le ostinate fazioni de’ Guelfi e Ghibellini’questa Città (cui il Sansovino; e prima di lui Lucio Fioro appella antichissima nobilissima ripiena di popolo, e d’uomini bellicosi, sicché fra i soldati d’Italia tengano il primo posto) era in quest’epoca nel generale coscenziosamente di parte Ghibellina, avversando alla dominazione straniera, comecché fosse stata in antecedenza, e con vario avvicendamento ivi predominante la parte Guelfa; come viceversa per questa si teneva la Città di Narni.

Da ciò fiere discordie ed emulazioni armate fra entrambi questi luoghi,le quali sembra cessassero dopo una decisa disfatta toccata a Narni nel dì 6 Dicembre 1371, sacro alla festa di San Nicolò Vescovo”.

Dopo ciò, restituita in parte la pubblica tranquillità, e ritornata la Città nel suo antico ordine e costumanze, continuò come prima a reggersi a Comune, banditi i Guelfi che appellava Tiranni.

DALLA STORIA DI TERNI DI FRANCESCO ANGELONI

… Aderendo i primi alla Chiesa,e gli altri agl’imperiali, tano aumen¬tarono simili fazioni,che destata in Pistoia (la guerra, nda),ne fu ad un”tratto ripiena l’Italia; e Terni abbondonne di sorta, che ne sostenne gravissimi mali,essendo sempre i semi dell’armi gli esterminii dei luoghi e gli scrittori concordano,che per coi fatte civili discordie,restò quasi desolato; perchè gli uni contro gli altri combattevano del continuo su le torri, che ben 30O ve ne furono erette(a Terni,nda) per tal fine, danneggiandosi co’ pulsoni, sassi, dardi ed altre armi da lanciare: e per le strade si attraversavano, fra l’una torre e l’atra grosse e lunghe catene, per impediere le scorrerie. e per combattere a serraglio…

Di simil torri,e della suddetta altezza,e forse più, con le già mentovate catene, sono tuttavia alcune intere in Terni (ai tempi dell’Angeloni , nda); e le altre chiaramente si comprendono per le case in parte demolite: avendone taluna più numero forse perché da più lati, o con sforzo maggiore di persone,volessero ad offendere l’inimico,e con più istrumenti danneggiarlo; né a questi aspri casi, ed incendii voracissimi di fuoco, non era chi potesse, o sapesse riparare….

intanto con le origini delle due fazioni derivate dalla Germania “dopo la morte di Enrico V,per le contese insorte sull’elezione del Successore,fra Bavari Sassoni Svevi e Franchi, le quali divennero poco appresso indigene anco d’Italia al cominciar del XII secolo”. La riunione del Consiglio Comunale di Terni del 24 aprile 1387“riguardava i beni confiscati ai capi di parte Guelfa, li quali dopo disfatti dai Ghibellini venner cacciati in bando dalla Città, e le loro proprietà vennero incamerate dal Municipio per inflitta condanna di confisca. Doveasi disporre di questi. In tale stato di cose i fratelli Francesco e Angelo Seccadenari, i quali avean molto sofferto nella persona e nelle sostanze a difesa della Patria nelle sanguinose lotte contro i Guelfi, ai quali ardentemente avversavano, supplicarono in quella tornata il patrio Senato, perché’ -amore Dei pietatis et misericordie intuitu et partis gebelline- fossero in qualche modo reintegrati de’ sofferti danni, sovvenuti nell’affligente stato di loro miseria,a che si eran ridotti per aver religiosamente servito alla Patria, e per esser stati sempre fe¬deli Ghibellini… Venne accolta la dimanda, e fu loro concesso un reddito di 300 fiorini su i prodotti de’ beni confiscati ai profughi, o, quante volte si fosser dovuti restituire, venisse a loro profitto surrogato il reddito dei Molini del Comune a porta S.Angelo ed a quella dei Tre Monumenti,dopo però cessati gl’impegni contratti cogli Affittuari”.

“Non andò guari di fatti, che i manzionati capitali si dovessero rendere agli antichi proprietari. Imperocché il Cardinal Tonimaso Orsini Legato della Sede Apostolica in partibus Italie, con sua lettera prescriveva al nostro Magistrato l’immediata restituzione di essi, sempre che i reintegrandi avesser prestato solenne giuramento di mantenersi buoni e tranquilli Cittadini. All’autorevole invito, il Consiglio(comunale,ndr), ob reverentiam Remi D. Cardinalis, decretò la voluta reintegrazione de’ medesimi purché avesser pagate tutte le dative ed altri balzelli imposti su quelle proprietà dal mese di Settembre decorso, fino al dì della seguita restituzione, e l’ammontar dell’esatto fosse versato in mano dei fratelli Seccandenari, fino al contingente dei 300 fiorini decretati nel rammentato precedente Comizio”.

DAL SECONDO LIBRO DELLA STORIA DI TERNI DI ELIA ROSSI PASSAVANTI

II 1° gennaio 1349, i Ghibellini di Terni cacciarono dalla città i Guelfi, che ne rimasero fuori fino al 14 giugno dello stesso anno, per rientrarvi allora quasi tutti, dato che alcuni non vi furono riammessi che il 23 settembre : II 15 agosto del 1350 i Ghibellini ternani aiutati da armati del prefetto di Vico venuti da Narni, riespulsero i guelfi, ne saccheggiarono le abitazioni e ne distrussero le case e le torri. L’anno’dopo 1351, i ghibellini di Terni, di Todi e di Narni tentarono occupare il castello di “Sangemini” per consegnarlo al comune di Narni che da tanti anni aspirava al dominio di esso. Per un tentativo di pace fra gli avversi partiti il Comune di Terni inviava ai confini di “Sangemini” Iuccio Manassei, ma inutilmente. Era speranza dei ghibellini -conclude il Passavanti riportato alla letra di riuscire a scacciare per sempre la Chiesa dai territori umbri; essi non pensavano cosa stesse loro preparando il Cardinale Albornoz.

DALLE ANTICHE RIFORMANTE MUNICIPALI

15 settembre 1392: Né ancora del tutto erano spenti o dimenticati i mal umori, conseguenze delle passate fazioni. Per turpe esercizio di private vendette bastava deninciare qualcuno fautore di parte Guelfa, vero o falso che fosse, per trargli addosso l’odio pubblico: malvagità le più vile ed abbominevole, della quale però porgono tristi esempi anco le più recenti istorie! … Tali addebiti, né forse a torto da quel che sembra, eran dati allora agli uomini delle vicine terre di Collescipoli, di Stroncone e di Perticara. Fu per altro savio divisamento del nostro Comizio in questa tornata di voler posto un termine a tali invecchiate calunnie e perniciosi motivi di rancori:ed in seguito di eloquente arringa di Pietro Camporeali fu risoluto di doversi di doversi accordare un general perdono durevole e reciproco sul passato; di ritenersi casse ed annullate tutte le sentenze, incarti criminali iniziati in addietro realtivamente a ciò; le nuove colpe soltanto severamente si punissero, nuove discordie si ovviassero, poste in profondo oblio le antiche. Son pur commendevoli tali misure di transizione e molto ne avvantaggerebbe la quiete pubblica quando sempre venissero adottate in parità di’ circostanze! (sottolinea Lodovico Silvestri).

27 giugno 1387: Prima che il nostro Reggimento Municipale si fosse potuto riordinare nell’antica forma, si dovè fare appello a tutti coloro stati del partito Guelfo, e che avesser votato dichiararsi di parte Ghibellina, perché prestassero solenne giuramento in atti del pubblico Cancelliere ipsam partem gebellinam manutenere et defendere et promiserunt esse perfectissimi gebellini tempore eorum vite. Qui difatti son notati i Nomi de’ Giurati: e poiché la Città si suddivideva in sei rioni, così dessi sono notati distintamente per rione. Pertanto prestarono giuramento in quest’istesso atto:

I. Dal Rione de’ Fabri 27 Capi di famiglia di parte Guelfa;

II. Da quello di Castello 24;

III. Dal Rione Rigoni 13;

IV. Dall’altro degli Adultrini 12;

V. Da quel disotto 2;

VI. Dall’ultimo degli Amingoni 13.

Ancora Lodovico Silvestri: Ho creduto superfluo di registrare i singoli nomi di cotesti Capi di famiglia, perocché ne sia estinta la discendenza, meno che di Angelo Rustici,uno dei 13 del Rione Amingoni, cui non debbo preterire perché nepote di quel Pietro Rustici, il quale nel 1259 nella onorevole qualifica di Sindaco del nostro Municipio acquistò da Anselmo quondam Transarico Arroni la sua quarta parte del Castello di Papigno per il prezzo di 675 libre o lire Lucchesi (Librarum Lucentiura) .

4 agosto 1387: Splendido esempio di sensata e ben calcolata moderazione ci porge la saggia risoluzione presa dal generai Comizio in questo giorno. Quasi sempre è avvenuto che dopo i politici sconvolgimenti per lunga pez-za gli animi rimangono inquieti, esacerbati, od esaltati da odi personali, a basse vendette; gli occulti e vili delatori trovano terreno opportuno per innalzare sulle rovine altrui,ed il più delle volte dell’innocente istesso, il mal fondato edificio delle loro brevi fortune; edificio però che col corto volgere de’ giorni di sovente precipita! La cacciata de’ Guelfi da questa Città fu un serio avvenimento, come rammentammo; gli odj duravano ancora, e la vendetta non mai satolla dell’altrui danno. In questo era per giungere in Città il nuovo Podestà: era quindi facile alla malignità di qualcuno sorprenderlo, preoccuparne l’animo con inqui suggerimenti, e farlo addivenire incauto stromento della privata vendetta. Che però saggiamente si volle proposto in questa seduta consiliare: Item quid videtur et placet providere et reformare de modo et ordine retinendis super maleficiis commiss in dicta civitate et eius territorio per homines et personas diete civitatis et eius comitatus a tempore expulsionis tirapni(ossia de’ Guelfi)dicte civitatis usque nuc adeventus novi potestatis civitatis de proximo appropinquetur. Su di che –prosegue Lodovico Silvestri– con molto senno e prudenza fu risoluto: Che su i delitti riferibili strettamente a quell’epoca, non si fosse potuto in verun modo inquirere, neppur anco d’officio, dal nuovo Podestà; si obliasse l’idea e la reminescenza del triste passato; per nuovi reati si compilassero nuovi processi,o si compisser quelli già iniziati, ed avessero piena esecuzione con le norme di giustizia le sentenze rese in proposito, sia dal bargello in assenza del Podestà,sia da quest’istesso,con regolar procedura a forma di Or come simili calamità abbiadi vedute rinnuovarsi frequentemente anco a dì nostri, potrem dire in buona coscienza che siensi adottate fra noi eguali sagge misure per ovviarne i tristi effetti? Io son d’avviso -conclude il ricercatore papignese- che i nostri padri sieno stati in ciò assai migliori di noi tardi nepoti!

9 maggio 1388: Cessati, come vedemmo, i passati sconvolgimenti nell’interno della Città e raffreddati in gran parte gli odi delle fazioni, molti de’ Gulefi, che si ereno allontanati, venivan rimpatriando e per lo più clandestinamente, né tutti si comportavano con tranquilla prudenza; il perché si venivan ridestando alla volta i rancori di parte. Fu sollecito il patrio Senato a sancire, che veruno di coloro potesse ri¬entrare in Città, se non fatta preventivamente formale istanza la Magistrato ed al Consiglio (comunale,ndr) pel bramato rimpatrio, e ne fosse decretato il permesso. Questo ottenuto,i reduci prestassero solenne giuramento in atti del Cancelliere di vivere e di condursi da onesti perfetti ed apostolici Ghibellini (Apostolici perché specialmente Innocenze VIII a quei dì regnante non che altri Papi di poi, e la Corte Romana eran del partito Ghibellino); se i rimpatriati non avessero adempiuto a questa interessante formalità, fosser di nuovo pubblicamente banditi. Così saggia quanto necessaria misura operò, che tanto in questo, che ne’ successivi Comizi fosser ed ammesse moltissime petizioni de’ Guelfi esulanti dalla Patria, e che bramavano farvi ritorno; ed il prestato giuramento contribuì alla conservazione della pubblica quiete non ostante il loro ritorno. 30 giugno,ancora del 1388: Vennero sancite varie Leggi statutarie intorno ai malefici: l’omicidio fosse punito inesorabilmente con la pena di morte e la confisca de’ beni; chi uccida de mandato per ricevuta o promessa mercede, fosse trascinato a coda d’asino al luogo del patibolo. Vietato a chicchessia il portare armi per la città concesso soltanto ai Banderari di distinzione il portarle, dando però cauzione idonea di non abusarne; ed un tal permesso risultasse da patente da rilasciarsi dal Cancelliere Municipale,cui il portatore abilitato dovea recar sempre seco per sua giustificazione: gravissima era la pena inflitta ai contravventori. 30 settembre 1406: Trovò necessario il nostro Senato municipale nell’odier¬na seduta di rinnovare il bando altre fiate pubblicato; che tutti di parte Guelfa, che avesser volontariamente emigrato dalla Città, dovessero fra giorni otto ricondursi in patria con le loro famiglie, prestando però solenne giuramento sui santi Evangeli, di vivere, e mantenersi buoni e fedeli cittadini, osservatori del buon ordine, e del tranquillo reggimento municipale: ulterior disobbedienza al generoso invito della madre patria sarebbe stata punita con la formale espulsione dei renuenti dalla Città, e con la confisca del loro beni. 14 ottobre : Molti obbedirono di fatti; ma non pochi corrisposero col disprezzo. Tanta era l’ostinazione di quegl’irriconciliabili partiti! Di venti di costoro si vollero registrati i nomi in perenne ignominia in queste pubbliche pagine,i quali a loro volta disturbavano la tranquillità Cittadina ed inquietavano i pacifici fratelli. Che però furon definitivamente proclamati banditi e ribelli, vietendosi lo¬ro di approssimarsi alla Città oltre il raggio di dodici miglia di distanza: sorpresi entro questo, fosser catturati e puniti con pena capitale. Di questa severa quanto necessaria legge si affidò l’esecuzione e l’osservanza a scelta Commissione di sei probi Cittadini ed altri e tanti banderari.

DAL TERZO LIBRO DELLA STORIA DI TERNI DI ELIA ROSSI PASSAVANTI

Siamo nel tempo in cui –scrive la nostra fonte– le città ghibelline, fra cui Terni prendono animo a nuove conquiste. Le città guelfe erano sottosopra per la presenza degli stranieri,le ghibelline che seguivano i Colonna non avevano da essi nulla da temere. Terni poi ebbe il suo Vescovo,lo spagnolo Giovanni de Fonsalida, che aveva finito col prendere dimora nel castello di Braceiano. L’amicizia dei Colonna e del Vescovo ternano, disposero favorevolmente verso Terni il luogotenente del Re, Giovanni di Rieux, che, passandovi, poneva la città e gli abitanti sotto la sua protezione,mediante privilegio. I Ternani colsero l’occasione per risolvere,appoggiati dai francesi, dai Colonna e dai savelli, l’antichissima questione delle Terre Arnolfe, su cui Spoleto vantava diritti, ma non poteva in quel momento, occupato nella propria difesa proteggerle. Le Terre Arnofle. fra Spoleto e Terni, erano tornate, verso la fine del sec. XII, sotto la giurisdizione papale. Poi Spoleto –prosegue il Passavanti– le aveva occupate, adducendo concessioni fatte dal rettore del Ducato. Erano seguite lunghe lotte per questo fra il Papa e Spoleto e alla fine questa fu condannata a restituire le Terre Arnolfe alla Chiesa e a non molestare i Ternani, che avevano prese le armi pel Papa. In seguito gli Spoletini tentarono di riprendersele,ma nel 1548 Pio II le sottoponeva di nuovo alla Chiesa. Nel 1490 sorse per una questione di confini e di pedaggio una lite fra Terni e Cesi; fu nominato un arbitrato, ma il lodo non soddisfece Terni. I Ternani, quando nel 1494 ebbero l’aiuto francese, assalirono Cesi, la saccheggiarono e s’impadronirono della rocca. Alcuni cittadini di Cesi, radunati nella villa di S.Apollinnare nelle Terre Arnolfe sui primi del 1495, chiesero l’aiuto e la protezione di Spoleto che fu loro concessa a condizione che comunità e uomini di Cesi divenissero sudditi spoletini. Altri Cesani fuggiti a Roma, dal Palazzo Apostolico confermavano il patto di sottomissione. Così l’anno successivo, 1496, i Cesani poterono tornare a Cesi; ma con questo non cessarono le scorrerie ternane che anzi continuarono fino a che il cardinale Giovanni Borgia, Legato dell’Umbria, potè far concludere una pace temporanea fra le due contendenti. Pace –sottolinea lo storico ternano-; che già nel 1497 avvenivano piccoli combattimenti fra ternani e spoletini presso Montefranco e Strettura; e negli anni successivi non solo si apprestavano opere di difesa, ma Terni e Rieti stipulavano addirittura un trattato di alleanza offensiva e difensiva contro Spoleto. Pervenuta notizia di tutto ciò al Pontefice, egli , con un breve, ordinava al Vice Legato del ducato, Giovanni Olivieri, di far concludere un’immediata pace fa le due contendenti. A tale scopo il vice legato si recava a Terni e manifestava al Consiglio Generale il volere del Papa. Il Consiglio votò,unanime, la pace. Ma la concordia non potè durare,date le correnti opposte serpeggianti nei due popoli. Questi odii e guerre –evidenzia Elia Rossi Passavanti– pure non impedivano le manifestazioni artistiche. L’agitato anno 1497 ci fa vedere in Terni il pittore fulginàte Niccolò di Liberatore detto l’Alunno che dipingeva in S. Valentino uno stendardo raffigurante Cristo in Croce con ai piedi S.Francesco e S.Bernardino ora alla Pinacoteca Comunale di Terni. In quello stesso anno Terni aveva spedita una carovana di armi vestiario, denaro e altro ai soldati che servivano il Papa nell’accampamento di Bracciano; tale carovana fu sorpresa e derubata da una squadra delle milizie Orsini e dei Savelli guidata dai fratelli Manassei avversari dei Borgia. Altri incidenti del genere si verificarono finché, avendo assunto il governo del ducato Ludovico Borgia, Arcivescovo di Valenza, succeduto a un breve governatorato di Lucrezia, figlia del Pontefice, nel 15OO ripresero le lotte. Una compagnia di ventura, guidata da Troilio Savelli e da Giacomo di Rocca Sinibalda, d’accordo con armati del comune di Terni, nel settembre di detto anno assaliva Cesi e la saccheggiava. Gli invasori vennero in seguito scacciati perché in aiuto di Cesi accorsero gli armati del comune di Spoleto. Iniziate le ostilità, dopo vari combattimenti gli spoletini guidati da Bar tolomeo da Alviano, demolita la rocca di Colleluna, assediarono Terni. L’assedio per ordine del Papa fu tolto; ma poi, non cessando le incursioni, il Consiglio di Spoleto deliberò la distruzione di Terni; questa città, a quella minaccia,venne a patti. Promise che non avrebbe più molestato i cittadi¬ni di Cesi e ripose l’arme di Spoleto sulla porta del Castello. La pace completa però non venne se non quando Alessandro VI, per evitare ogni causa di discordia, sottopose Cesi e le Terre Arnolfe alla giurisdizione dei chierici della Camera Apostolica, ordinando che i 24 castelli che ne facevano parte, non fossero più soggetti ne a Terni ne a Spoleto, ma soltanto alla Camera Apostolica (1502). Mentre avvenivano questi suoi contrasti con le città vicine, Terni non viveva tranquilla la sua vita interire. Le riformanze dell’agosto 1501 lo manifestavano chiaro:”E’ ormai tempo di mutare vita e costumi di uomini improbi, affinchè la nostra città, dopo tante disgrazie, guerre e avversità sofferte per tanti anni, possa avere un po’ di pace”. A tale scopo si espulsero dalla città tutti i forestieri e vennero multati coloro che davano ricetto ad estranei. I colpiti erano avversari del Pontefice, seguaci del partito dei Colonna e dei Savell, nemici dei Borgia. Nello stesso partito militavano molti terna¬ni, tanto che il Papa aveva dichiarata la città ribelle,l’aveva multata e minacciata finanche di sterminio! Ad evitare guai peggiori, il Consiglio inviava ambasciatori plenipotenziari a Roma; e questi poterono ottenere da Alessandro VI uno scritto di perdono,il 24 agosto 1501. Due degli ambasciatori furono pochi giorni dopo incaricati dal Consiglio di trattare con Cesare Borgia per la protezione della città; Terni, all’uopo, rinunciava a quella di qualsiasi altro signore, e specialmente dei Colonna e dei Savalli. L’adozione di Cesare Borgia a protettore, però, non fu accolta bene da tutti i cittadini ternani; la città restò scissa in due correnti contrarie e non tardarono le dolorose conseguenze. Infatti nell’aprile 1503 vi scoppiarono tumulti tali che dovettero sospendersi la predicazione quaresimale e altre manifestazioni sacre, allora importantissime e di vita pubblica; il Consiglio Generale doveva anzi nominare una commissione col preciso scopo di calmare gli animi e distruggere ogni seme di discordia, ricorrendo, all’occorrenza a punizioni severe. Per il luglio di quell’anno,poi, giunta notizia che il Duca Valentino sarebbe passato per Terni con la sua corte, furono eletti deputati fra i cittadini e banderari perché lo accogliessero nel modo migliore ; e, qualora avesse mutato itinerario, fossero andati a rendergli omaggio nella città più vicina. Fu l’ultima volta che Terni ebbe a che fare col Valentino, perché la sua la sua stella -morto improvvisamente il 23 agosto Alessandro VI- tramontava poco dopo per sempre. Comunque –conclude Elia Rossi Passavanti– anche negli anni in cui l’Italia centrale era prostrata dinanzi all’inesorabile imperio del figlio di Alessandro VI, Terni rivendicava in una parte e non la peggiore dei suoi cittadini la fierezza delle libertà comunali secondo quello spirito,quasi promanante dal suo luogo e dalle sue mura, che l’aveva condotta che doveva condurla ancora verso la mèta di una più alta dignità civile ed italica.

Le chiese scomparse

Sono più di quaranta le chiese scomparse per vicissitudini storiche, per la guerra, per incuria; sono sparite costruzioni grandi e rappresentative, come S. Giovanni Decollato (nell’immagine a lato), che qualificavano l’intera città, ed altre grandi come una stanza e meno conosciute ma non per questo meno significative. II danno è stato di uguale entità perché l’intero tessuto urbano circostante perde un riferimento di particolare valore rappresentativo e il senso di compiutezza dovuto all’equilibrio delle sue varie parti.

Chiesa di San Giovanni Decollato

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Chiesa San Giovanni Decollato inizio lavori di demolizione

La Chiesa di S. Giovanni Decollato costruita alla fine del cinquecento in una delle posizioni più significative della Città, si avvale di una disposizione a pianta centraloe e di un particolare paramento facciata della mrtà del settecento. Elementi questi che ne fanno una delle chiese più interessanti e purtroppo meno capite, anche da parte dei pur attenti studiosi locali che avallano, nel 1920, il descreto di demolizione.

Da Francesco Angeloni: “Conviene ora fare di colà.ritorno al sinistro lato della principale, già mentovata piazza, dove l’altro rione degli Amingoni ha suo principio, e vèdevisi eretta da pie ele-mosine la moderna ovata chiesa con sua cupola al precur-sore di Cristo Giovanni Battista; dove stanno confrati, col titolo di Misericordia, e con istituto di Confortare i con-dannati a morte e seppellirli: avendo da Clemente XIII in-dulto di annualmente liberare un capitale bandito’dalie prigioni: e più cappellani vi frequentano gli uffici! divini“.

San Paolo di Galleto (monastero)

San Paolo di Galleto. Nell’area poi occupata dal Lanificio, dallo Jutificio e dalla Fabbrica d’Armi sorgeva il monastero voluto da S. Chiara per le compagne clarisse, eretto probabilmente intorno alla metà del sec. XIII. Divenuto ben presto ricco e potente per lasciti e donazioni di terre e dì case, fu dotato da Nicolo IV e Bonifacio IX (brevi del 13 febbraio 1291 e 10 gennaio 1393) di speciali indulgenze concesse a tutti i fedeli che il lunedì di Pasqua si recassero a visitarlo. Il monastero, soppresso nel 1458 dal vescovo Francesco Coppini per lo scarso numero e la dissolutezza delle monache, fu concesso in commenda al cardinale Bessarione e da questi agli Agostiniani di San Pietro. Le donazioni annesse passarono più tardi (1473) alla mensa vescovile di Terni. Gli arredi furono invece divisi fra le chiese, di San Francesco, San Pietro e San Giovanni Decollato. Nel 1554, infine, furono definitivamente soppressi chiesa e convento; la mensa vescovile attivò nel complesso ormai diruto due macine, una da grano e una da olio, e due cartiere, ‘ utilizzando l’acqua del Sersimone e, in seguito, del Raggio Nuovo. Non si posseggono notizie sulla struttura del complesso; per certo si sa che nella zona si svolgeva una fiera il lunedì dì Pasqua. Nel sec. XV questa fiera era celebratissima: la ‘plaga di San Paolo’ si gremiva di commercianti, cortei e processioni con autorità, maestranze delle arti e confraternite laiche. C’erano corse al fantino e la cerimonia del ‘pallio’ ai vincitori assumeva i caratteri di una solennità cittadina. Importanti erano le concessioni dì franchigie. La tradizione dell’antica fiera di San Paolo si mantenne per lungo tempo e solamente nel 1603 fu trasferita presso il Cassero, nelle vicinanze di Porta Romana e posta sotto il presidio della confraternita del Santissimo Sacramento, La “plaga di San Paolo” fu teatro di una battaglia nel 1527. La città di Terni, salvatasi da un primo attacco delle truppe dì Carlo V in marcia verso Roma, dopo il Sacco, dovette accoglierne i capi con alcune torme di sbandati. Dopo aver contrattato ‘con denaro sonante’ la tranquillità della città, all’improvviso l’esercito ternano venne aggredito nei pressi del monastero da truppe guidate dal marchese di Saluzzo e da Federico Bozolo. Gravi furono le perdite dei ternani, comandati da Pier Maria Rossi e Alessandro Vitelli, Narni ebbe sorte peggiore, uscendo assai danneggiata, oltre che saccheggiata, dall’attacco dei lanzichenecchi.