“Narnia me genuit Gattamelata fui“. Erasmo da Narni, 1370 – 1443.
da “Cronistoria Narnese” di Edoardo Martinori, e da “Erasmo Gattamelata” di Almerindo Ceccaroli.
1370: “In quest’anno nacque in Narni Erasmo detto Gattamelata. Suo padre di nome Paolo era fornaio, originario di Todi, e sua madre si chiamava Melania Gattelli. La casa ove si crede venisse al mondo, si trovava nella Valle Marcellina, in parrocchia di S. Valentino, ora di S. Agostino. Ancora si mostra la piccoldalla poesia dei cantastorie, l’unico maschio fu Giannantonio. Seguirà le orme paterne e combatterà a fianco del genitore per poi comandarne i soldati alla sua morte. Torna Edoardo Martinori. 1434; “In quest’anno Erasmo Gattamelata si mise agli stipendi della Repubblica Veneta”. Egla casa del Gattamelata nella via che ora prende il suo nome al numero 30″. Il condottiero, che portava sulle sue insegne un gatto, manifestò fin da ragazzo la sua passione per le imprese guerresche, e il suo idolo -inizia a dire Almerindo Ceccaroli- era Braccio Fortebraccio da Montone (“tiranno infestissimo del suo tempo”). Perugia 1368, l’Aquila 1424. Il padre di Erasmo da Narni, persona onesta e calma -prosegue il Ceccaroli- pur avendo desiderio di averlo accanto a se nel suo lavoro di fornaio, comprende la vocazione del figlio e non si ostina ad opporsi, ma rassegnato ne asseconda il destino comprandogli un bel cavallo. Salutato da parenti e amici, Erasmo parte dalla sua Narni per andare al servizio di Ceccolo di Broglio, signore di Assisi, che lo accoglie benevolmente. “Il Gattamelata poteva avere in questo tempo non più di 23 anni”, scrive il Martinori. Fattosi le ossa e l’esperienza sotto Broglio, Erasmo si arruola sotto le insegne di Braccio da Montone, che stava preparandosi alla campagna d’Abruzzo, che gli sarà fatale. Morto il Fortebraccio, il Gattamelata passerà al servizio di Papa Martino V che si accinge a restaurare l’autorità dello Stato della Chiesa nei tenitori ad essa ribelli o riottosi. Prima di inviarlo nella turbolenta Romagna (“parla” ancora il Ceccaroli), il Papa ordina al Gattamelata di espugnare il castello di Montone, strenuamente difeso da Nicola Varano, vedova di Braccio Fortebraccio, che intendeva preservarlo per il figlio Carlo. Insomma, da fido collaboratore di Braccio a conquistatore del suo castello. Alle insinuazioni che seguirono la conquista di Montone da parte dei soldati di Erasmo da Narni, Almerindo Ceccaroli scrive “che una volta passato al servizio del Papa, egli agiva in armonia con i dettami dell’obbedienza e in perfetta coscienza con se e con le usanze dei tempi”. Ma il fatto che il Gattamelata sia stato un Capitano di Ventura anche al servizio dello Stato Pontificio ai narnesi pare, anche a tutt’oggi, che non sia andata proprio giù. E lo vedremo poi. Intanto, mentre dalla biblioteca comunale di Narni sembrano essersi volatilizzati “Umbria Guerriera” di Maria Luisa Fiuli, e il “Libro dei ricordi del convento di Santa Maria Maggiore di Narni”, testi dai quali Almerindo Ceccaroli aveva attinto notizie sul condottiero Narnese, stessa sorte pare abbiano avuto: “Intorno alla statua equestre di Gattamelata da Narni”, e “Erasmo Gattamelata da Narni suoi monumenti e famiglia”, opere del marchese Giovanni Eroli. Ancora da “Cronistoria Narnese”: “Erasmo Gattamelata di Narni, circa il 1410 sposò Giacoma di messer Antonio Bocarini Brunori da Leonessa, dalla quale ebbe un maschio e cinque femmine”. Almerindo Ceccaroli scrive che la famiglia della “bella e giovane Giacoma era gente onorata, iscritta alla cittadinanza di Orvieto e Signori di Monte Giove”. Le figlie femmine furono Antonia, Angiola, Todeschina (che andrà sposa al condottiero Antonio di Ranuccio dei conti di Marsciano, signore di Poggio Aquilone, ora in quel di San Venanzo), Lucia e Polissena, “la cui fama di bellezza si spande per ogni terra e sarà esaltata i lascerà il servizio delle armi a difesa dello Stato Pontificio -scrive Almerindo Ceccaroli- “solo quando vi sarà costretto dalle ristrettezze economiche del Pontefice che non riesce a far fronte puntualmente al soldo delle milizie, perché non se la sente di far brutta figura di fronte ai suoi soldati che reclamano la mercede”. Quel “gran guerriero del Gattamelata, che per la sua virtù e fedeltà la Serenissima Repubblica di Venezia lo fece suo Capitano generale”, viene colpito da un colpo apoplettico mentre in sella al suo cavallo partecipava alla gioia dei suoi soldati, che realizzando un suo “progetto ardito e disperato” erano riusciti a rifornire Brescia assediata dal Piccinino al servizio dei Visconti di Milano. Erasmo da Marni, “II 16 gennaio 1443 nell’ora del vespro chiude serenamente il ciclo della sua vita terrena. La Serenissima onorò il suo condottiero con le esequie riservate a Dogi decretando una giornata di lutto in tutta la Repubblica”. Nella sala dell’Arsenale di Venezia si conserva l’intera armatura dell’illustre condottiero e nel Tesoro del santo di Padova il suo bastone di comando guarnito di foglie d’argento dorato con fine cesellatura. Ma il più bel ricordo di Erasmo da Narni che ancora possiamo ammirare -continua Almerindo Ceccaroli- è la statua equestre posta sulla piazza della Basilica di Sant’Antonio di Padova; una fusione in bronzo che lo ritrae a cavallo “in atto di avanzare con il viso ispirato a mansuetudine e fierezza”. Il monumento fu commissionato dalla vedova e dal figlio Giannantonio a Donatelle, “che in quel tempo si trovava a lavorare nella città di Padova; venne a costare milleseicentocinquanta ducati d’oro”. Giannantonio Gattamelata, che prese il posto del padre alla guida delle truppe della Serenissima, “non tardò a seguirlo nella tomba, colpito mortalmente alla testa da un colpo di cerbottana. Riposa accanto al padre nella cattedrale di Padova. Ora, dopo aver dato per sommi capi la storia di Erasmo da Narni, va detto che Almerindo Ceccaroli nel suo libro rimprovera gli amministratori di Narni del tempo andato per un episodio dei primi anni del 1900. Sentiamolo: “Si era in piena guerra mondiale, gli austriaci compivano continue incursioni aeree sulle indifese città del Veneto”, per cui gli amministratori di Padova temevano per le sorti del celebre monumento bronzeo di Donatello, e pensarono di metterlo al riparo in una località lontana dal fronte di Guerra. “Chi meglio della città natale del condottiero avrebbe potuto assolvere tale compito si saran detti quei bravi veneti e persuasi di far cosa gradita, prima di rivolgersi ad altra città, nel timore di recare offesa, inviarono una lettera al Comune di Narni esponendo le loro intenzioni. La risposta si fece attendere, non fu sollecita come avrebbe richiesto la circostanza del caso”. Si venne poi più tardi a conoscenza dei motivi che portarono il Consiglio Comunale di Narni ad indugiare nel rispondere all’invito dei padovani. Evidentemente qualcuno di quegli amministratori si era ricordato “che quel Gattamelata era si un concittadino, ma che era stato anche al servizio del Papa come capitano di milizie”. Accesi anticlericali (va giù duro Ceccaroli) fecero prevalere questo loro sentimento su ogni altra pur logica considerazione e dopo aver nicchiato per qualche giorno, “risposero ai padovani, dicendo che per ragioni dovute a difficoltà ambientali non potevano soddisfare la loro richiesta non avendo un posto adatto ove collocare la statua”. E a fronte di ciò Ceccaroli sferra l’invettiva finale: “Così i narnesi per volontà dei loro amministratori pervasi da spirito settario rinnegarono uno dei più illustri concittadini ritenuto un clericale”.
Lettera inviata dall’Ing. Sandro Bassetti, ricercatore storico, a Enio Navonni sul Gattamelata “menagramo”.
Caro Enio,
in uno degli ultimi incontri telefonici tra noi mi riferisti della diffusa diceria sulla sfortuna; Gattamelata, imputato anche di essere menagramo ovvero colui che porta “jella” o “sfiga”, come dicono i giovani facendo suicidare nell’aldilà Manzoni o Dante. Ma è possibile che nel terzo millennio ci sia chi creda ancora a queste cose? Comunque, dopo aver studiato a fondo la vita del Gattamelata ritengo che questa diceria, che esiste solo in provincia di Terni, sia stata messa in giro da ignoranti della vita del Condottiero per scopi che non riesco ad immaginare. Ad esempio., va ricordato che l’ingresso principale della Fiera di Milano, Porta Gattamelata, è dedicata al Gattamelata da quasi cinquant’anni, ma li vi si sono fatti solo ottimi affari, non vi è morto alcuno e
nessuno si è mai lamentato di qualcosa, anzi, la costruzione è uno dei simboli del boom economico dei favolosi anni ’60.
Ma lasciamo superstiziosi e fattucchiere e torniamo nella realtà storica dei fatti. Il Gattamelata è un uomo eccezionalmente fortunato e di ciò esistono numerose prove a suo carico. La più importante è che lui, pur avendo combattuto per oltre 55 anni ed essendo stato ferito anche gravemente, muore nel suo letto alla venerabile età, ieri più di oggi, di 72 anni. Nessuno a quel tempo, esercitando la sua professione di soldato ha mai vissuto tanto: solo John Hawkwood, detto Gin vanni Acuto muore a 73anni. Francesco Bussone, detto il Conte di Carmagnola è decapitato a 42 anni. Biordo Michelotti, viene assassinato a 46 anni. Bonifacio Cane, detto Facino a 52. Andrea Fortebracci, detto Braccio Fortebraccio da Montone muore in battaglia a 56 anni, Alberigo dsi Conti di Curdo, detto Alberigo da Barbiano muore in battaglia a 61 anni.
II Gattamelata guadagna, somme enormi nel 1438 ha uno stipendio mensile di 500 ducati d’oro,, ovvero di 1.779.5 grammi d’oro zecchino a titolo 1000, che oggi, al valore di 10,70 € al grammo equivale ad € 19.040,65 ovvero a 36.867.839 vecchie Lire al mese, tutto netto, esentasse ed esclusi i premi. Per il figlio di un fornaio delle campagne di Todi emigrato a Narni non è poco, e, ” certamente, non è sfortuna. Riceve in dono il feudo di Valmarino ed oltre a ciò, nel settembre 1438, il figlio del fornaio emigrato entra a far parte della nobiltà della Serenissima Repubblica di Venezia, la maggiore potenza dell’epoca. Così si legge nel documento ufficiale: “si abbia’il ringraziamento che lo stesso magnifico Gattamelata con i suoi figli e discendenti-legittimi sia e debba essere nostre ‘ Nobile concittadino e faccia parte del nostro Maggior Consiglio, con tutte le condizioni attribuzioni, privilegi e poteri degli altri Nobili nostri del Maggior Consiglio”.
Contrariamente agli altri condottieri del suo tempo Erasmo riesce ad avere una casa nella quale rifugiarsi dopo le asprezze delle battaglie e dove circonda la sua donna (Giacoma Boccarini BrunorI da Leonessa) di un affetto e di una considerazione impensabili in quei tempi Egli l’ha eletta a sua compagna fedele, destinata a dargli una nidiata di figli che lo circondano di affetto. In effetti le case sono tre, una più principesca dell’altra: una a Padova in pieno centro storico (non lontana da quella di Bartholomeo Liviano d’Alviano), una a Venezia poco dopo Rialto ed una a Montagnana. Inoltre il Gattamelata: gode di un impiego superpagato fino alla sua morte; non è mai disoccupato; ha sempre ricevuto il saldo dei suoi crediti; non ha mai fatto debiti; i congiunti, moglie, figli e nipoti, sono tutti morti dopo di lui.
Anche dopo la morte continua la sua fortuna, se si può dire così. La sua tomba è nella cappella più importante della basilica di Sant’Antonio da Padova: quella del Santissimo; il suo bastone di cornando è accanto alle reliquie di Sant’Antonio, la sua armatura è al Palazzo Ducale a Venezia: le sue case sono ancor oggi in pieno splendore; gli sono dedicate messe per due secoli oltre il suo decesso. A lui è innalzato quello che è considerato il maggiore monumento equestre esistente, opera di Donateilo.
Se questo significa essere circondato dalla sfortuna, vorrei circondarmene anch’io. Gli unici ai quali mi risulta portasse sfortuna il Gattamelata erano i suoi nemici.