L’ANFITEATRO ROMANO DI TERNI
L’anfiteatro è l’edificio romano meglio conservato di Interamna e costituisce uno dei complessi più suggestivi della città.
Fu eretto a pianta ovale sullo scorcio del sec. 1° d. C., presso il limite della cinta urbica.
L’edificio è interamente costruito in muratura, con rivesti mento di filari di blocchetti di calcare travertinoso locale nelle strutture portanti ed in opera reticolata a scapoli di calcare bianco, alternati ad altri di colore scuro, nelle murature piene; gli assi maggiori misurano m 97,50 x 73.
All’occhio del visitatore antico la grande costruzione appariva diversamente: tutta circondata da un porticato, la confornicatio, die celava le murature attualmente visibili, strutture portanti delle gradinate.
Lo spazio interno, l’arena, dove si svolgevano i ludi, si presentava come una grande spianata di forma quasi ellittica.
Anche nelle rovine di questo come di altri monumenti romani si mostra la grandezza e lo splendore del Municipio interamnate.
I « giochi del circo » erano ormai un ricordo dell’età repubblicana, i ludi scenici non attraevano più il popolo e il teatro era disertato. L’ultima novità erano i «giochi dei gladiatori» che, condotti un tempo da privati, divennero i ludi ufficiali all’epoca imperiale quando per essi cominciarono a costruirsi i gran, di e fastosi anfiteatri.
IL Colosseo è l’esempio tipico di tali grandiosi e splendidi edifici. Purtroppo, il genere di spettacoli che vi si davano era indice non dubbio del gusto e delle tendenze che il popolo romano aveva acquistato dopo le conquiste.
I combattimenti fra i gladiatori, le cacce (combattimenti fra uomini armati e belve), le naumachie (combattimenti navali nell’arena dell’anfiteatro allagata), la morte degli inermi cristiani gettati alle belve durante le persecuzioni erano gli spettacoli di cui si dilettavano anche le città delle provincie. Presso il tempio dedicato a Giove fulminatore, sul quale poi S. Pellegrino eresse nel 138 il primo sacello cristiano in Terni, sorgeva il nostro anfiteatro.
Come dice la stessa parola anfiteatro, aveva forma ellittica risultante dall’unione di due teatri contrapposti, in cui, abolita la sirene o scena, era in comune la orchestra o platea, spazio chiamato successivamente arena. II diametro maggiore dell’arena era di m. 57,800; il diametro minore di metri 18,500.
Le massime mura perimetrali, rivestite all’esterno da pietre a reticolato bianco e mero, erano sostenute da (robusti archi che formavano portici semicircolari. L’altezza di questi archi di sostegno doveva essere in origine di almeno m. 7,00 con una luce di m. 2,80 come mostrano i fornici che sono ancora ben visibili nonostante le occlusioni di casupole nel lato sud-est.
Sopra gli archi interni concentrici e sopra quelli a crociera con i portici esterni (gli uni e gli altri divisi in celle a forma di compartimenti stagno per le belve, i bestiarii e i gladiatori e da cui si accedeva all’arena attraverso porto semicircolari a livello chiuse da robusti cancelli), si stendeva la grande cavea a più ordini digradanti di sedili in travertino divisi longitudinalmente in settori cuneiformi dalle scale convergenti all’arena.
Sull’ultimo ripiano della cavea girava un loggiato scoperto difeso all’esterno dal muro perimetrale che si ornava alla sommità, di numerose statue dedicatorie di eroi e di divinità.
Tre erano gli ingressi all’anfiteatro, nei lati nord, sud-est, e sud. Il principale, che si apriva presso il tempio di Giove sull’attuale Piazza del Duomo, aveva tutta la fastosità e l’eleganza di un arco trionfale con colonne marmoree, ricchezza di trabeazione sull’attico e formelle istoriate.
Forse alcuni dei frammenti rinvenuti in luoghi diversi della città potrebbero attribuirsi a questo gioiello dell’architettura antica.
Nulla vieta di credere che anche nel nostro anfiteatro avvenissero le naumachie cui dette tanto impulso l’imperatore Claudio; il fiume vicino avrebbe servito a cambiare in lago l’arena.
Non esiste alcun altra memoria che ci parli dell’attività dell’anfiteatro e delle persone che legarono ad esso il proprio nome, né come moderatori dei giochi, né come magistrati inquirenti.
Non sappiamo nemmeno chi ne sia stato il costruttore. Ma questo edificio grandioso ed elegante che poteva contenere da 10 a 11 mila spettatori è la a ricordare la magnificenza del nostro Municipio.
Mons. Vincenzo Tizzani
Il Tizzani, romano, era noto per le frequenti cure non solo spirituali ma anche assistenziali che volgeva in mezzo al popolo nei quartieri più poveri di Roma. Gioachino Belli, legato a lui da profonda amicizia, lo ricorda così in un sonetto del 1839:
belli’. . . Quer Reverenno è un santarello e ha ‘na testa che manco Salomone.
Lui, ce vadìì er ricco o er poverello, fa bone grazzie a tutte le persone e, indovunque lo tasti è sempre quello.
‘ Eletto vescovo di Terni nel 1843, tenne la diocesi fino al 1847. Il vescovato di Terni gli procurò gioie e amarezze le quali sono in parte narrate nelle ‘ Riminiscenze ternane’, un’opera che ci offre tra l’altro un quadro della società ternana dell’epoca. Tra i meriti che si debbono riconoscere a mons. Tizzani va prima di tutto ricordata l’istituzione delle scuole serali per i fanciulli, e una prima ricognizione dell’Anfiteatro Romano. Il vescovo infatti commissionò all’ingegner Riccardi la pianta del teatro, sovvenzionando gli scavi ai quali partecipava di persona. Ciò permise che, dopo tanti secoli, questo importante monumento dell’epoca romana avesse, se non altro, una forma e delle dimensioni.
tratto da: L’Umbria Manuali per il Territorio e “Latina Gens” a cura di Enio Navonni
Perchè si chiamava “Anfiteatro Fausto”?
Perché – scrive Francesco Angeloni – l’opera fu realizzata, “pecunia sua”, da Fausto Tizio liberale seviro augustale.
II quale, poi, “edificato ch’ebbe in Terni l’Anfiteatro, dedicollo alla salute e libertà perpetua del Popolo Romano, nel consolato di Qneo Domizio Enobardo, e di Furio Camillo Scriboniano, edificato che fu Terni anni settantaquattro.
E perché dubitare si potrebbe, se Fausto in questo luogo sia nome”.
Angeloni precisa, traducendolo dal latino: “Fausto, come scriveva Valerio, deriva da favore. Perché significa prospero e felice colui al quale tutti favoriscono”. E fu Fausto fino ai giorni nostri. Fino a quando approfonditi studi sulla lapide (foto sopra) dedicatoria hanno stabilito che essa non poteva appartenere al Colosseo ternano, ma ad altro manufatto.
Ragion per cui ora è e sarà l’Anfiteatro Romano di Terni.